Una figura femminile scolpita in un osso dell’età paleolitica, identificata come Venere di Parabita di 12.000/14.000 anni fa, assurge a simbolo dell’energia femminile che domina gli elementi primordiali della vita connessa con l’acqua, con l’aria, con il fuoco e con la terra.

Un corpo fecondo immerso nelle spume del mare di Santa Cesarea, nell’aria di un cielo stellato di una cripta a Ugento, nel fuoco pirotecnico di Castro, nella terra del Nuraghe di Barumini si eleva a emblema della vita che scorre dai tempi preistorici a oggi.
Se la Venere degli stracci (mito della nostra contemporaneità) di Michelangelo Pistoletto evoca bellezza tra gli indumenti dismessi che rappresentano il consumismo dell’effimera quotidianità contro il bello eterno dell’arte, la Venere della vita (citazione di tutte le veneri) di Ornella Cucci, invece, evoca l’eterna rigenerazione dell’esistenza, gli elementi del cosmo nel ciclo perenne della vita dopo la morte. Una venere feconda come archè della vita, che si nutre delle forze vitali dei quattro elementi di cui si compone il mondo: acqua, aria, fuoco, terra.

Salvatore Luperto